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Bambini e Numeri
Pochi ma - per favore
non si dica anche - poveri
Il nostro è un Paese povero di bambini, ma niente affatto di bambini poveri.
La rarefazione dei bambini e dei ragazzi nella popolazione residente è un fenomeno silenzioso e strisciante che viene da lontano – già evidente negli anni Ottanta e conclamato negli anni Novanta del secolo scorso – mentre la manifesta visibilità del tema della povertà – anche nei suoi riverberi sulla condizione di tanti bambini e ragazzi – è un fenomeno più recente, che si è drammaticamente imposto all’attenzione negli ultimi anni, a seguito della crisi delle economie occidentali avviatasi a partire dal biennio 2007/2008.
Il concomitante verificarsi di questi due fenomeni ha conseguenze dirette anche sul sistema dei servizi educativi per la prima infanzia. Se da una parte si riduce il bacino potenziale di bambini in età utile per frequentare un nido, dall’altra si amplia al suo interno la schiera di quanti vivono in famiglie che non sono in condizione di accedere a tali servizi non potendo sostenere i costi connessi; di fatto, questo vuol dire precludere ad un numero rilevante e crescente di bambini la frequenza di un luogo – il nido – considerato sempre più concordemente importante non solo per diminuire e recuperare gli svantaggi sociali, ma anche per sostenere la crescita, gli apprendimenti e l’inserimento positivo nella vita adulta.
Popolazione residente e popolazione povera per età – Anni 2005-2015
Pur non dovendo mai essere dimenticato che i nostri bambini mostrano, in generale, indicatori di benessere che rappresentano conquiste consolidate e molto significative rispetto al passato - basti pensare, solo per citare alcuni esempi, all’incessante calo della mortalità infantile che ci pone in una posizione di eccellenza all’interno del panorama europeo, al proporzionale basso tasso di gravidanze precoci e di abortività tra le minorenni, alla progressiva riduzione della incidentalità stradale tra i giovanissimi, al proporzionale contenuto tasso di suicidio tra i minorenni - i dati presentati nella tabella sono impietosi e raccontano, nello scorrere di un decennio, del calo della popolazione minorile, concentrato soprattutto tra i bambini piccoli di età compresa tra zero e due anni, e dell’esponenziale aumento dei bambini che vivono una condizione di povertà (1) e di esclusione sociale.
Sono due campi – quello del rinfoltimento delle fila di bambini e ragazzi e quello della riduzione di quanti tra loro vivono in condizioni di povertà – in cui la politica può e deve intervenire.
Sul primo – il rafforzamento della leva delle nascite – bisogna essere consapevoli che le politiche (al di là di tentativi più o meno maldestri, si pensi in tal senso alla recente campagna di rilancio della natalità promossa sotto il cappello dell’iniziativa del “fertility day” e in particolar modo alla sua miope campagna pubblicitaria) possono di fatto avere un effetto non immediato e diretto; in altre parole, la politica, pur dovendo farsi carico del tema agevolando i progetti riproduttivi delle coppie italiane in termini di servizi di conciliazione e tempi di cura come di sostegno economico e abitativo, nulla può di fronte a scelte individuali sempre più frequenti in una società che appare orientata ad una forte deriva individualistica e così anche a rimandare i progetti riproduttivi per poi spesso accantonarli del tutto.
Molto di più può senz’altro fare la politica sul secondo terreno del contrasto della povertà e dell’esclusione sociale dei bambini e delle loro famiglie. L’assoluta convinzione della robustezza di questa affermazione sta nella constatazione che, tranne rare eccezioni che puntellano il nostro immaginario collettivo – solo per citare un esempio calzante e a noi culturalmente vicino, il pensiero va a figure più uniche che rare come quella del nostro conterraneo Francesco D’Assisi che si spoglio di ogni suo bene per seguire la propria vocazione – nessuno e tantomeno un bambino piccolo sceglie volontariamente di essere povero.
(1) La povertà relativa si misura in relazione alla linea di povertà delle famiglie italiane, definita per convenzione in riferimento ad una famiglia composta di due componenti che prende in considerazione sia la variazione dei prezzi al consumo che la spesa per consumi in termini reali, e restituisce la quota di famiglie o individui che ha consumi pro-capite equivalenti a meno della metà del consumo medio pro-capite nazionale. La povertà assoluta si basa sul valore monetario di accesso a un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile nel contesto italiano. La povertà assoluta si distingue dunque dalla povertà relativa perché si riferisce all’incapacità di accedere a determinati beni e servizi a prescindere dallo standard di vita medio della popolazione.
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